Da UTI a Comunità: un passo avanti o indietro?

Da Comunità di montagna a Comunità Montana la distanza verbale è davvero minima; alcuni critici o detrattori dell’ultima riforma degli Enti Locali (LR 21/2019) trovano qui gioco facile per lamentare il ritorno al passato. Anni fa le Comunità Montane vennero additate come un inutile carrozzone, e come tali prima abolite, poi ripristinate, infine definitivamente tramontate nel 2016.

In questo breve post raccolgo dalla rete alcune informazioni utili a un confronto tra le diverse epoche e realtà, non dimenticando che con la LR 26/2014 sono venute a cessare anche le Province. Il conseguente travaso di funzioni a Regione e Comuni non è stato poi seguito da un proporzionale rinforzo del personale comunale, portando molti municipi a gestire situazioni difficili quando non addirittura estreme in alcuni casi. Le Comunità di montagna oggi si inseriscono in un contesto amministrativo decisamente meno “abbondante” dell’epoca delle Comunità Montane.

Il tratto maggiormente distintivo e innovativo delle Comunità introdotto dalla riforma Roberti si trova nella piena libertà di adesione dei singoli Comuni, del tutto assente nel modello UTI, con regole e perimetri calati di imperio dal legislatore regionale. I nuovi Enti sono obbligatori solo per i territori montani, con un set minimo di servizi legati proprio al carattere montano degli stessi; questo darà modo ai restanti Comuni di scegliere le forme di aggregazione di servizi più opportune per ogni realtà, senza contare che sarà preziosa l’esperienza apripista delle Comunità di montagna per calibrare e perfezionare al bisogno il nuovo quadro istituzionale.

Tra i link proposti, interessante la pagina dedicata della Regione, dove è possibile anche reperire le osservazioni delle Amministrazioni locali (tra cui Spilimbergo) nel merito della riforma Garlatti, che istituiva le Unioni dei Comuni Montani.

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